mercoledì 2 giugno 2010
Tempo, fatica, condivisione, danze e speranza
Dopo il viaggio a Kampala ho letto un libro di Kapuscinski, Ebano; nelle pagine iniziali si parla del concetto di tempo e l’autore dice: “L’europeo e l’africano hanno un’idea del tempo completamente diversa, lo concepiscono e vi si rapportano in modo opposto. Nel concetto europeo il tempo esiste obiettivamente, indipendentemente dall’uomo, al di fuori di esso, ed è dotato di qualità misurabili e lineari… l’europeo si sente schiavo del tempo, ne è condizionato, è il suo suddito in tutto e per tutto. Per esistere e funzionare deve osservare le sue ferree e inamovibili leggi, i suoi rigidi principi e le sue regole. Deve rispettare date, scadenze, giorni e orari. Si muove solo negli ingranaggi del tempo, senza i quali non può esistere. Ne subisce i rigori, le esigenze e le norme. Tra l’uomo e il tempo esiste un conflitto insolubile che si conclude inevitabilmente con la sconfitta dell’uomo: il tempo annienta l’uomo.
Gli africani autoctoni, invece, intendono il tempo in modo completamente opposto. Per loro si tratta di una categoria molto più flessibile, aperta, elastica, soggettiva. È l’uomo che influisce sulla forma del tempo, sul suo corso e ritmo. Il tempo è addirittura qualcosa che l’uomo può creare: infatti l’esistenza del tempo si manifesta attraverso gli eventi, e che un evento abbia luogo oppure no dipende dall’uomo…il tempo è un’entità inerte, passiva e soprattutto condizionata dall’uomo.
L’esatto contrario del modo di pensare europeo.”
Un pomeriggio sono andata a trovare le waganga (infermiere) a casa, siamo state tutto il pomeriggio sedute al sole fuori dalla cucina a chiacchierare insieme…mi sono goduta al massimo queste ore trascorse con loro, assaporando con gusto la bellezza di questo momento, senza la preoccupazione di guardare l’ora…senza fretta di dover andare via…
In queste ultime settimane sono andata abbastanza sovente a lavorare nei campi…con Maria, Jaqui, Leontina, Françoise…certamente zappare tutto il pomeriggio, magari sotto il sole cocente, è una faticaccia, però è una fatica che faccio con molto piacere, non me la sento di rifiutare l’invito.
Sabato pomeriggio ero in giro per il villaggio e ho incontrato Devotte, una delle nostre dentiste. Le chiedo dove sta andando e lei mi dice che va a prendere l’ascia a casa di un’altra dentista per poi andare a fare legna. Al che le chiedo se va lontano, se posso andare con lei…mi dice che va vicino e poi si mette a ridere…prendiamo l’ascia, passiamo da casa sua a prendere le corde e i machete e poi partiamo, con anche la sorella più piccola, tra le risa generali dei ragazzi che sono lì…vedere il mzungu che va a fare legna li diverte e ancor più sapere che ho intenzione poi di portare la legna sul dorso come fanno loro.
Camminiamo mezz’ora e arriviamo al loro campo dove ci sono già tutti gli alberi abbattuti, lavoro fatto dagli uomini della famiglia. Devotte e la sorella iniziano a tagliare legna a tutto spiano mentre io, dopo essermi riposata un po’ contemplando il paesaggio della foresta, ammucchio tutti i legni tagliati. Loro poi preparano le cataste, legate con le corde, ce le carichiamo sul dorso e si riparte…camminiamo un’ora, sotto il sole…io grondo sudore, loro sembra che non facciano la minima fatica…
Alla scuola si continua a costruire…è stata fatta una classe nuova e adesso sono iniziati i lavori per la seconda classe. Bisogna portare le pietre per le fondamenta…si fa un SALONGO (lavoro comunitario) e anche io decido di partecipare. Bisogna andare in foresta, scendere a fondo valle, dove scorre un torrente, prendere le pietre, caricarsele e portarle fino alla scuola…nei giorni prima aveva piovuto molto perciò c’era molto fango, la discesa verso il fondo valle e molto ripida e io ruzzolo giù…la mamma e le bimbe che sono con me scoppiano a ridere. Io continuo imperterrita e mi carico il sacco sulla schiena con dentro tre pietre. La mamma che era con me anche ha tre pietre nel sacco, ma molto più grosse…ed è incinta…
Iniziamo a risalire la montagna, faccio tre passi, sto per scivolare, istintivamente lascio il sacco che ruzzola giù, fortunatamente senza far male a nessuno. Mi rendo conto che non ce la posso fare a fare quel primo tratto con il sacco sulla schiena, perciò metto da parte l’orgoglio e chiedo a un papà di portarmi il sacco per i primi metri, i più brutti…poi mi riprendo il sacco e continuiamo la scalata in mezzo alla foresta.
Vedere una mamma incinta e due bimbette, una di 6 e l’altra di 4-5 anni portare le pietre mi fa riflette…penso ai nostri grandi camion che trasportano di tutto fino al posto desiderato, penso alle nostre mamme che quando sono incinta stanno a riposo dal lavoro, anche se il loro lavoro consiste solo nello stare sedute dietro a una scrivania…e sono sempre più convinta che questi siano super donne e super uomini!
Fortunatamente oltre alla fatica quotidiana, necessaria per vivere, ci sono anche dei bei momenti di festa, di incontro, di condivisione…e allora si fa un bel pranzetto per la festa delle waganga…le waganga, il comitato di gestione del dispensario, gli animatori sanitari, i malati e noi, tutti seduti attorno allo stesso “tavolo” a mangiare lo stesso cibo…mi sento parte della comunità…
Festa è anche danzare tutto il giorno per un matrimonio…
In queste settimane abbiamo avuto il matrimonio di Beatrice, una delle nostre dentiste, festeggiato molto in sordina e poi quello di un’altra ragazza del villaggio, in cui invece si è danzato per una settimana tutto il giorno.
Per loro non era tanto importante il rito in chiesa, quanto il festeggiare dopo, il mangiare insieme alla gente del villaggio e danzare da mattino a sera. È incredibile vedere per quante ore questa gente riesca a danzare, sotto il sole cocente, in mezzo alla polvere, completamente prese dal ritmo dei tamburi…vedi facce sfigurate dal sudore, ma splendidamente sorridenti e questa è una cosa stupenda!
In questo mese di maggio, per il mese mariano, siamo andati a fare la preghiera serale con i bambini nelle loro capanne; ogni sera in una capanna diversa, sotto il cielo stellato illuminato dalla luna. Ogni sera “custodivo” con amore almeno un bimbo sulle mie gambe e ogni sera quel bimbo si addormentava. Mentre pregavamo per la gente della casa in cui eravamo, per i malati, per gli ospiti che arriveranno nei prossimi mesi dall’Italia e per la pace contemplavo quel piccolo corpicino addormentato…non mi ero mai accorta prima di quanto sia bello vedere un bimbo che dorme…
La scorsa settimana è arrivato qui a Muhanga uno dei capi dei mai-mai. Ha parlato a lungo con Giovanni, con il colonnello dei soldati FARDC che abbiamo qui e poi anche con gli uomini dell’ONU venuti apposta per l’occasione.
Sappiamo che i mai-mai vivono in foresta non lontano da Muhanga, sappiamo che i soldati che abbiamo qui a breve partiranno e che ne arriveranno degli altri, ma non sappiamo di che gruppo. Sappiamo che è importante che i capi dei vari gruppi si incontrino per parlare, ma non sappiamo se questo servirà a qualcosa, non sappiamo se la pace mai arriverà…però ci da la SPERANZA!
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grazie eli... sono in reparto e dopo un po' di tempresta è bello fermarsi e poter leggere queste righe vedendo sorgere il sole... non sai quanto rendono forti le tue parole, facendoci sentire fortunati. un abbraccio enorme da chi, anche se non molto presente con mail e messaggi vari, ti è sempre vicino. un bacio cuginetta, veronica
RispondiEliminasono proprio convinta che ti stai facendo un gran bella esperienza, dalla quale attingerai per tutta la vita, grazie anche perchè ci comunichi la tua gioia di..... essere li'.
RispondiEliminaun bacione
vedere un bimbo che dorme a me RISTORA L'ANIMA!...parla al cuore...io mi commuovo ogni volta che ne vedo uno in reparto!..figurati lì!!
RispondiEliminanon vedo l'ora di esserci...e di fare i lavori con voi...di portare le mie pietre..di sudare...di sporcarmi di fango...
insomma...di CONDIVIDERE!
un saluto da matte!!