Stamattina sveglia alle 6.45, come tutte le mattine, prendo il caffè e vado a casa di Anna, la mia mamma muhangese; ieri eravamo rimaste d’accordo che oggi saremmo andate a lavorare nei campi insieme. Arrivo a casa sua e sta cucinando i fagioli. Finisce di cucinarli e mangiamo fagioli e patate dolci; prendiamo le zappe e le corde e partiamo per andare ai campi.
Camminiamo circa mezz’ora e arriviamo in un punto dove vediamo tantissime cavallette che volano. Qui è il periodo delle cavallette, una vera prelibatezza per la gente e anche per me, perciò ci mettiamo a cacciare cavallette. Nel frattempo arriva anche un papà e poi, dopo più di un’ora di caccia, arrivano anche delle mamme e dei ragazzini. Stiamo circa due ore a cacciare cavallette e poi proseguiamo verso il campo, felici e contente del nostro bottino di caccia.
Arriviamo al campo di manioca, che è pieno di erbacce perché è da molto che mamma non va a lavorarci, e ci mettiamo a zappare per togliere le erbacce.
Zappiamo per circa 3 ore, sotto un bel sole caldo, chiacchierando, scherzando, confidandoci; finito di togliere le erbacce andiamo nel campo di fianco, che è sempre di mamma, è togliamo un po’ di manioca, me la carico sulla schiena e ripartiamo per tornare a casa con le nostre zappe.
Arrivate circa a metà strada mi rendo conto che il fagotto che ho sulla schiena con dentro la manioca, le cavallette, le mie scarpe e un foulard di mamma si è aperto e il foulard è caduto. La prima preoccupazione di mamma però non è tanto il foulard, quanto le cavallette…non sia mai che il bottino di caccia vada perso!!! Torniamo indietro un pezzetto e il foulard non si trova, ma per nostra fortuna ci sono delle bambine che stanno andando ai campi nello stesso posto dove eravamo noi, perciò percorrono la stessa strada che abbiamo appena fatto noi… il foulard lo troveranno loro e ce lo faranno avere quando ritorneranno a casa. Possiamo proseguire verso casa, ma ora la manioca la porta mamma, così magari evitiamo di perdere altri pezzi x strada!!!
Sulla strada del ritorno passiamo nel punto in cui Bati, il nostro taglialegna, ha preparato la legna da trasportare fino alla missione, perciò, per non fare il giro a vuoto leghiamo una catasta di legna a testa e ce la carichiamo sulla schiena. Mamma si mette anche il fagotto con la manioca sul dorso, una zappa a testa da portare e siamo pronte per risalire la montagna che ci porta fino a casa.
Arrivate alla missione scarichiamo la legna e mamma mi lascia una parte della manioca che abbiamo raccolto… stasera la mangerò bollita con Conce e Bati.
Accompagno mamma a casa, saluto i miei “fratellini” e “sorelline”, mamma si lava e si prepara per andare a lavorare al dispensario… oggi è di guardia la notte.
Anche io torno a casa, mangio le buonissime scacce che ha cucinato Conce stamattina, mi lavo e vado a recuperare il foulard perso per strada che le bambine hanno ritrovato e lo porto a mamma al dispensario; un bel sorriso per ringraziarmi e me ne torno a casa felice per questa giornata stupenda passata insieme alla mia mamma muhangese!
È stata una giornata faticosa per tutte e due, soprattutto per lei che stamattina presto presto era già andata a 2 km da casa a prendere una catasta di legna per casa sua e aveva già tolto le mahole (delle radici che si mangiano qui) in modo tale che domani ha solo più da cucinarle quando torna dal turno di guardia al dispensario.
Ecco, questa è una giornata tipo di una mamma di Muhanga: dover andare ai campi, preparare da mangiare, fare legna… se poi è un’infermiera deve anche rispettare gli orari di lavoro del dispensario.
Per queste mamme è vita, fatica di tutti i giorni; per me è un qualcosa che faccio ogni tanto. Certo è che in questo modo ti rendi veramente conto di quanto è faticosa la vita per questa gente, ti quanto tutto sia fatica qui.
Passare la giornata insieme è stato molto piacevole, così come è piacevole sentirsi figlia di una madre che non ti ha partorita, ma che ti tratta come se ti avesse portata in grembo per nove mesi.
venerdì 26 novembre 2010
venerdì 19 novembre 2010
Muhanga - Kampala: due mondi a "pochi" chilometri di distanza
Un mese: questo è il tempo che mi resta da trascorrere qui a Muhanga, almeno per questa volta…
Lunedì io e Conce siamo rientrate da Kampala, dopo aver accompagnato Silvia all’aeroporto; ultima ospite prima della mia partenza.
Andando a Kampala in pochi giorni vediamo una differenza di condizioni di vita, di strade, di persone, di ritmi di vita, di sicurezza, di benessere che fa sempre riflettere.
Si parte da Muhanga, un piccolo villaggio in mezzo alla foresta, dove la gente vive nelle capanne di fango, sfamandosi con quello che coltiva; dove la carne si mangia una volta ogni tanto quando si ammazza un porcellino d’India che si ha in casa, oppure una gallina o un topolino trovato nei campi o, quando si riescono a mettere da parte un po’ di soldini, la carne della macelleria.
Si arriva a Kampala, grande città piena di palazzoni e villette in mattoni, con grandi supermercati stile occidentale e dove la carne si vende dappertutto e si cucina per strada, sempre pronta per esser venduta alla gente che passa.
Muhanga, dove le uniche macchine che viaggiano sono le macchine della missione o le rare, rarissime, macchine degli organismi che vengono qui o quelle dell’ONU.
Kampala, dove il traffico è un qualcosa di inimmaginabile, dove c’è una quantità di macchine, mini bus, moto, camion e biciclette che è peggio di una grande città italiana. Colonne su colonne di macchine ferme ad un incrocio, con la gente a piedi, in bici o in moto che fa lo slalom per poter passare.
Molto meglio la tranquillità di Muhanga al caos di Kampala!!!
Muhanga, dove la manutenzione della strada, ovviamente non asfaltata, viene fatta dalla popolazione a colpi di zappa, pala e macete, ma che purtroppo spesso e volentieri si rovina con le forti piogge. Allora, il giorno del nostro arrivo, 4 giovani partono al mattino, a piedi, e vanno a 20 chilometri da Muhanga, dove la strada è particolarmente brutta. Lavorano tutta la mattina per cercare di rendere più agevole possibile il nostro passaggio, ma nemmeno questo ci evita di rimanere piantati nel fango. E allora scavi, spingi, togli fango, metti le 4x4… e continui il viaggio…
Kampala, dove tutte le strade, o quasi, sono asfaltate e perciò anche con la pioggia si viaggia senza problemi; dove per asfaltare la strada ci sono camion, draghe e macchinari vari che lavorano.
I cinesi è da tempo che lavorano in Congo per asfaltare le strade e hanno già asfaltato un po’ di chilometri, ma pensare di avere l’asfalto sulla strada di Muhanga è un’utopia…
Muhanga, dove l’essere abbigliati di tutto punto non è prioritario… se non la domenica. Dove i bambini che calzano delle scarpe, o meglio delle ciabattine, sono pochi… se non la domenica. Dove le donne non indossano gioielli di nessun tipo… se non le più “benestanti”, ma solo la domenica o per un matrimonio. Dove non si vedono uomini in giacca e cravatta… se non quando si sposano.
Kampala, dove tutti, tranne i bambini di strada, sono vestiti di tutto punto, tutti i giorni… anche la domenica. Dove i bambini, tranne i bambini di strada, calzano sempre delle scarpe o almeno delle ciabattine, tutti i giorni… anche la domenica. Dove le donne mettono ben in mostra gioielli e orologi di valore, tutti i giorni…anche la domenica, anche ai matrimoni. Dove molti uomini, forse per ragioni di lavoro, sono in giacca e cravatta, tutti i giorni… anche la domenica, anche quando si sposano.
Muhanga, dove costantemente ci sono i fucili: che siano quelli dei FARDC (esercito regolare congolese), dei mai-mai (ribelli congolesi), degli FDLR (esercito regolare ruandese) o dei CNDP (esercito misto congolese - ruandese) poco importa, sempre fucili sono e ad imbracciare quel fucile è sempre un soldato, che per quanto sia bravo ruberà sempre il cibo alla gente e sottometterà sempre questa gente, farà sempre violenza su di loro, che sia fisica o psicologica, deruberà sempre la gente che passa sulla strada e sparerà senza troppi scrupoli quando pensa che sia necessario. Fucili che costringono la gente a non stare in giro quando fa buio; fucili che mettono paura alle mamme se devono andare nei campi lontano; fucili che dovrebbero portare la sicurezza a Muhanga, ma che invece creano solo ulteriore insicurezza. Fucili imbracciati per sentirsi potenti.
Kampala, dove gli unici fucili che si vedono sono quelli dei poliziotti che garantiscono la sicurezza sulla strada o degli agenti di sicurezza che custodiscono supermercati o negozi vari. Fucili che permettono di stare in giro per la città tutta la notte.
Forse leggendo quello che ho scritto uno può pensare che sia meglio vivere a Kampala piuttosto che a Muhanga, ma non è così, almeno non per me. A Muhanga ci sarà anche l’insicurezza, soldati che girano per il villaggio, fango in cui ci si pianta quando si viaggia, bambini mal vestiti e non propriamente puliti, sarà anche un villaggio isolato in mezzo alla foresta, ma forse sono proprio tutte queste cose insieme che rendono Muhanga un posto stupendo, affascinante, un piccolo “paradiso” in cui vivere.
Certo senza fucili si starebbe molto meglio, ma vivere in mezzo a gente così sorridente, poter andare nei campi con loro e lavorare, faticare ridendo e scherzando, poter condividere la quotidianità, poter entrare nelle loro case e sentirsi a casa e non ospite, sentirsi figlia di queste madri e padri, poter rendere felici questi bambini semplicemente stando con loro, giocando con niente insieme, sentirsi parte di tutto ciò è… non so come definirlo, diciamo…EMOZIONANTE… è un qualcosa che mai potrò dimenticare e che so già che mi mancherà tantissimo tra un mese.
Lunedì io e Conce siamo rientrate da Kampala, dopo aver accompagnato Silvia all’aeroporto; ultima ospite prima della mia partenza.
Andando a Kampala in pochi giorni vediamo una differenza di condizioni di vita, di strade, di persone, di ritmi di vita, di sicurezza, di benessere che fa sempre riflettere.
Si parte da Muhanga, un piccolo villaggio in mezzo alla foresta, dove la gente vive nelle capanne di fango, sfamandosi con quello che coltiva; dove la carne si mangia una volta ogni tanto quando si ammazza un porcellino d’India che si ha in casa, oppure una gallina o un topolino trovato nei campi o, quando si riescono a mettere da parte un po’ di soldini, la carne della macelleria.
Si arriva a Kampala, grande città piena di palazzoni e villette in mattoni, con grandi supermercati stile occidentale e dove la carne si vende dappertutto e si cucina per strada, sempre pronta per esser venduta alla gente che passa.
Muhanga, dove le uniche macchine che viaggiano sono le macchine della missione o le rare, rarissime, macchine degli organismi che vengono qui o quelle dell’ONU.
Kampala, dove il traffico è un qualcosa di inimmaginabile, dove c’è una quantità di macchine, mini bus, moto, camion e biciclette che è peggio di una grande città italiana. Colonne su colonne di macchine ferme ad un incrocio, con la gente a piedi, in bici o in moto che fa lo slalom per poter passare.
Molto meglio la tranquillità di Muhanga al caos di Kampala!!!
Muhanga, dove la manutenzione della strada, ovviamente non asfaltata, viene fatta dalla popolazione a colpi di zappa, pala e macete, ma che purtroppo spesso e volentieri si rovina con le forti piogge. Allora, il giorno del nostro arrivo, 4 giovani partono al mattino, a piedi, e vanno a 20 chilometri da Muhanga, dove la strada è particolarmente brutta. Lavorano tutta la mattina per cercare di rendere più agevole possibile il nostro passaggio, ma nemmeno questo ci evita di rimanere piantati nel fango. E allora scavi, spingi, togli fango, metti le 4x4… e continui il viaggio…
Kampala, dove tutte le strade, o quasi, sono asfaltate e perciò anche con la pioggia si viaggia senza problemi; dove per asfaltare la strada ci sono camion, draghe e macchinari vari che lavorano.
I cinesi è da tempo che lavorano in Congo per asfaltare le strade e hanno già asfaltato un po’ di chilometri, ma pensare di avere l’asfalto sulla strada di Muhanga è un’utopia…
Muhanga, dove l’essere abbigliati di tutto punto non è prioritario… se non la domenica. Dove i bambini che calzano delle scarpe, o meglio delle ciabattine, sono pochi… se non la domenica. Dove le donne non indossano gioielli di nessun tipo… se non le più “benestanti”, ma solo la domenica o per un matrimonio. Dove non si vedono uomini in giacca e cravatta… se non quando si sposano.
Kampala, dove tutti, tranne i bambini di strada, sono vestiti di tutto punto, tutti i giorni… anche la domenica. Dove i bambini, tranne i bambini di strada, calzano sempre delle scarpe o almeno delle ciabattine, tutti i giorni… anche la domenica. Dove le donne mettono ben in mostra gioielli e orologi di valore, tutti i giorni…anche la domenica, anche ai matrimoni. Dove molti uomini, forse per ragioni di lavoro, sono in giacca e cravatta, tutti i giorni… anche la domenica, anche quando si sposano.
Muhanga, dove costantemente ci sono i fucili: che siano quelli dei FARDC (esercito regolare congolese), dei mai-mai (ribelli congolesi), degli FDLR (esercito regolare ruandese) o dei CNDP (esercito misto congolese - ruandese) poco importa, sempre fucili sono e ad imbracciare quel fucile è sempre un soldato, che per quanto sia bravo ruberà sempre il cibo alla gente e sottometterà sempre questa gente, farà sempre violenza su di loro, che sia fisica o psicologica, deruberà sempre la gente che passa sulla strada e sparerà senza troppi scrupoli quando pensa che sia necessario. Fucili che costringono la gente a non stare in giro quando fa buio; fucili che mettono paura alle mamme se devono andare nei campi lontano; fucili che dovrebbero portare la sicurezza a Muhanga, ma che invece creano solo ulteriore insicurezza. Fucili imbracciati per sentirsi potenti.
Kampala, dove gli unici fucili che si vedono sono quelli dei poliziotti che garantiscono la sicurezza sulla strada o degli agenti di sicurezza che custodiscono supermercati o negozi vari. Fucili che permettono di stare in giro per la città tutta la notte.
Forse leggendo quello che ho scritto uno può pensare che sia meglio vivere a Kampala piuttosto che a Muhanga, ma non è così, almeno non per me. A Muhanga ci sarà anche l’insicurezza, soldati che girano per il villaggio, fango in cui ci si pianta quando si viaggia, bambini mal vestiti e non propriamente puliti, sarà anche un villaggio isolato in mezzo alla foresta, ma forse sono proprio tutte queste cose insieme che rendono Muhanga un posto stupendo, affascinante, un piccolo “paradiso” in cui vivere.
Certo senza fucili si starebbe molto meglio, ma vivere in mezzo a gente così sorridente, poter andare nei campi con loro e lavorare, faticare ridendo e scherzando, poter condividere la quotidianità, poter entrare nelle loro case e sentirsi a casa e non ospite, sentirsi figlia di queste madri e padri, poter rendere felici questi bambini semplicemente stando con loro, giocando con niente insieme, sentirsi parte di tutto ciò è… non so come definirlo, diciamo…EMOZIONANTE… è un qualcosa che mai potrò dimenticare e che so già che mi mancherà tantissimo tra un mese.
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